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Astringenti, emostatici e vasocostrittori nella presa d’impronta

Per la realizzazione di protesi su denti naturali, è necessaria un’impronta che riproduca in modo accurato uno o più monconi con gli elementi dentari adiacenti della stessa arcata.

 Per arrivare a questo obiettivo, il professionista deve prendere alcune importanti misure:

  • il margine protesico della preparazione deve essere adeguatamente visibile all’operatore e accessibile al materiale da impronta o alla luce dello scanner intraorale, qualora vengano usate tecniche d’impronta digitali;
  • l’umidità, e i possibili film di saliva, sangue o altri liquidi, devono essere ridotti al minimo,  o meglio assenti, in corrispondenza degli elementi preparati;
  • i tessuti molli devono essere correttamente retratti per favorire al materiale da impronta l’accesso al margine della preparazione.

Per ottenere questi  risultati, nella pratica clinica quotidiana vengono applicate specifiche tecniche di “tissue management”, classificate in tre categorie principali: meccaniche, meccanico-chimiche o chirurgiche.

Gli agenti astringenti, emostatici e vasocostrittori vengono utilizzati all’interno delle tecniche meccanico-chimiche. Questi rappresentano dei coadiuvanti alla compressione meccanica esercitata dal filo di retrazione che viene applicato nel solco gengivale singolo o doppio prima della presa dell’impronta con materiali siliconici, al fine di retrarre i tessuti molli adiacenti al moncone.

L’utilizzo di un solo filo retrattore in cotone, senza agenti chimici aggiuntivi, ha dimostrato un’efficacia limitata, dal momento che da solo, spesso, non riesce a controllare il sanguinamento sottogengivale [1].

Pelzner et al, in uno studio sui vari metodi di retrazione gengivale,  evidenziarono come circa la metà delle impronte eseguite con posizionamento del solo filo dovesse poi essere ripetuta,  poiché tale procedura non riusciva a evidenziare correttamente il limite della preparazione nel modello in gesso prodotto successivamente [2].

Perciò, la tecnica di retrazione più diffusa è attualmente quella chimico-meccanica. Con questa tecnica, il filo retrattore viene immerso, prima di essere inserito nel solco, in una soluzione che può essere composta da astringenti, emostatici e vasocostrittori.

Questi vengono classificati dal punto di vista chimico in Classe I (vasocostrittori, adrenergici), o Classe II (agenti emostatici, astringenti) [3], in base al loro potenziale ossidoriduttivo.

Composti chimici utilizzati

Gli astringenti, come l’allume o il solfato di alluminio e potassio (KAl (SO4)2), AlCl3 e il cloruro di zinco (ZnCl2), sono sostanze che precipitano le proteine ma non penetrano nelle cellule, interessando solo lo strato superficiale della mucosa.

Induriscono la superficie, rendendola meccanicamente più resistente, e diminuiscono la produzione di essudato. Alcuni astringenti, come il cloruro ferrico e il solfato ferrico, sono presenti in forma più concentrata (sottoforma di agenti emostatici) e causano la coagulazione superficiale e locale del sangue [4].

Il solfato ferrico è tuttavia ormai in disuso, data la sua inibizione della polimerizzazione dei polieteri associata all’ effetto colorante dei tessuti [5]. Il cloruro di alluminio e il solfato ferroso vengono invece generalmente preferiti tra gli astringenti, perché causano un minor danno tissutale, sono semplici da usare ed efficaci [6].

Gli agenti emostatici, tuttavia, sono moltissimi e hanno la funzione di arrestare i processi emorragici più gravi che si verificano col taglio dei capillari e delle arteriole.

I vasocostrittori non causano invece la coagulazione del sangue ma agiscono unicamente restringendo i vasi sanguigni. Esempi di vasocostrittori accettati dal Council on Dental Therapeutics includono: l’epinefrina (1:200.000/1:100.000/1:50.000), la levonordefrina (1:20.000) e la norepinefrina (1:30.000).

La soluzione all’8% di racemo dell’epinefrina è il vasocostrittore di scelta in odontoiatria [7,8]. Riduce l’afflusso sanguigno all’area diminuendo la dimensione dei capillari, provvedendo in tal modo al blocco dell’emorragia sottogengivale.

Quest’azione di vasocostrizione locale determina anche una retrazione gengivale transitoria utile durante la presa d’impronta per meglio evidenziare il margine della preparazione [9].

L’utilizzo dell’epinefrina per la retrazione gengivale deve avvenire però a bassa concentrazione (0,01%) a causa del suo importante effetto ischemico generato nei confronti dei tessuti molli del solco gengivale.

Un altro fattore sconveniente associato all’epinefrina è il possibile assorbimento con conseguente immissione nel circolo vascolare sistemico. A tal proposito, la quantità di epinefrina assorbita è altamente variabile e dipendente da:

  • il grado di esposizione del letto vascolare che dipende dallo stato infiammatorio del tessuto [10];
  • il tempo di contatto [11];
  • il grado di medicamento del filo [12].

È bene infatti considerare che la quantità di epinefrina assorbita da 2,5 cm di filo da retrazione lasciato nel solco gengivale per un tempo da 5 a 15 minuti è di 71 µg [13] e che 71 µg corrispondono a circa 1/3 della dose massima raccomandata per un adulto sano (0,2 mg o 200 µg) e circa al doppio della dose raccomandata per un cardiopatico (40 µg) [14].

Nell’utilizzo di astringenti, emostatici e vasocostrittori una cosa importante da verificare è la compatibilità con i materiali da impronta usati.

Alcuni di essi, infatti, possono interferire con la polimerizzazione di tali materiali causando un aumento considerevole del setting time; in questo modo potrebbero perciò verificarsi, in fase di rimozione dell’impronta dalla bocca del paziente, distorsioni o strappi del materiale proprio a livello del finish line (margine della preparazione) in seguito ad uno sviluppo incompleto delle caratteristiche meccaniche del materiale che risulterebbe scarsamente polimerizzato.

Tuttavia, risulta fondamentale la scelta dell’astringente/emostatico/vasocostrittore più idoneo, non solo al caso clinico, ma anche in relazione al materiale da impronta utilizzato. Una scelta impropria, infatti, potrebbe condizionare il risultato finale con possibili conseguenze anche sul piano clinico.

È bene quindi sapere che il solfato ferrico e il cloruro di alluminio interferiscono con la polimerizzazione dei polieteri, mentre il solfato di alluminio potrebbe interferire con la polimerizzazione dei siliconi per addizione [5]. L’epinefrina invece non presenta interazioni negative né coi polieteri né coi polivinilsilossani.

Al fine di eliminare i liquidi che inibiscono la polimerizzazione o eventuali coaguli di sangue che possono depositarsi poco prima, una procedura certamente consigliata è sicuramente  quella di abbondare con il risciacquo del solco gengivale, da effettuarsi poco prima della presa d’impronta stessa [5].

Rimane fondamentale però il concetto di utilizzare sempre la minima quantità necessaria di questi composti per ottenere un’efficace emostasi. Solo così si riuscirà a ottenere un’impronta corretta senza causare danni tissutali o problemi al materiale stesso in fase di registrazione dell’anatomia.

Tissue management prima della presa d’impronta


Bibliografia:

[1]     Harrison JD. Effect of retraction materials on the gingival sulcus epithelium. The Journal of Prosthetic Dentistry 1961;11:514–21. https://doi.org/10.1016/0022-3913(61)90234-7.

[2]     Pelzner RB, Kempler D, Stark MM, Lum LB, Nicholson RJ, Soelberg KB. Human blood pressure and pulse rate response to racemic epinephrine retraction cord. J Prosthet Dent 1978;39:287–92. https://doi.org/10.1016/s0022-3913(78)80098-5.

[3]     Nowakowska D, Saczko J, Kulbacka J, Choromanska A. Dynamic oxidoreductive potential of astringent retraction agents. Folia Biol (Praha) 2010;56:263–8.

[4]     Mohan M. Pharmacological Agents in Dentistry: A Review. BJPR 2011;1:66–87. https://doi.org/10.9734/BJPR/2011/272.

[5]     Gherlone E. L’impronta in protesi dentaria. Masson, 2005. n.d.

[6]     Rosenstiel,  S.F.,  Land,  M.F.,  Fujimoto,  J.  (2006a).  Contemporary  fixed  prosthodontics  4thEdn. St Louis: Mosby, pp. 435. n.d.

[7]     Felpel LP. A review of pharmacotherapeutics for prosthetic dentistry: Part I. J Prosthet Dent 1997;77:285–92. https://doi.org/10.1016/s0022-3913(97)70186-0.

[8]     Shillinburg HT, et al. Fundamentals of fixed prosthodontics. Quintessence Publishing Company, 1997 n.d.

[9]     Shillingburg HT, Hatch RA, Keenan MP, Hemphill MW. Impression materials and techniques used for cast restorations in eight states. J Am Dent Assoc 1980;100:696–9. https://doi.org/10.14219/jada.archive.1980.0228.

[10]   Gogerty JH, Strand HA, Ogilvie AL, Dille JM. Vasopressor effects of topical epinephrine in certain dental procedures. Oral Surg Oral Med Oral Pathol 1957;10:614–22. https://doi.org/10.1016/s0030-4220(57)80009-7.

[11]   Woycheshin FF. An evaluation of the drugs used for gingival retraction. The Journal of Prosthetic Dentistry 1964;14:769–76. https://doi.org/10.1016/0022-3913(64)90213-6.

[12]   Forsyth RP, Stark MM, Nicholson RJ, Peng CT. Blood pressure responses to epinephrine-treated gingival retraction strings in the rhesus monkey. J Am Dent Assoc 1969;78:1315–9. https://doi.org/10.14219/jada.archive.1969.0186.

[13]   Kellam SA, Smith JR, Scheffel SJ. Epinephrine absorption from commercial gingival retraction cords in clinical patients. J Prosthet Dent 1992;68:761–5. https://doi.org/10.1016/0022-3913(92)90198-j.

[14]   Malamed SF. Medical Emergencies in the Dental Office, ed 6. St Louis: Mosby,2007:31;381-384. n.d.


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