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L’utilizzo del light nell’impronta di protesi implantare

L’impronta di protesi implantare ha la finalità di rilevare con un’elevata precisione la posizione tridimensionale spaziale degli impianti rispetto alle altre componenti del cavo orale (denti adiacenti, cresta alveolare…). 

Diversi sono i fattori influenzanti l’accuratezza e la precisione della impronta di protesi implantare. Tralasciando alcune situazioni complicanti come l’angolazione degli impianti e la loro posizione in cavità orale, alcuni importanti scelte influenzanti il successo della protesi su impianti possono essere il tipo di materiale e la tecnica utilizzata.

Tecniche di impronte su impianti e materiali

Esistono diversi tipi di impronta su impianti. L’impronta pick-up (a portaimpronte aperto) prevede che i transfer rimangano all’interno dell’impronta stessa. Ovviamente per questo tipo di impronta i transfer devono essere dotati di viti di collegamento all’impianto sufficientemente lunghe da fuoriuscire dalle pareti del portaimpronta. Il tecnico successivamente collocherà l’analogo dell’impianto sul transfer serrando la vite di collegamento.

Al fine di evitare problematiche di rotazione del transfer durante questa fase è fondamentale che la superficie del transfer venga inglobata totalmente, senza alcun gap, all’interno del materiale da impronta ed è necessario ottenere anche una grande adesione fra transfer e materiale da impronta. In questo senso l’utilizzo del light su impronta pick-up (sia per quanto riguarda impronte in polivinilsilossani che in polietere) e il suo posizionamento direttamente sul transfer, consente di avere il massimo contatto con il transfer, grazie alle caratteristiche chimico-fisiche di scorrimento del materiale light come la bassa consistenza e viscosità.

Anche nell’impronta a strappo (riposizionata o a portaimpronte chiuso), può tornare utile questa caratteristica. In questo caso, il transfer non viene rimosso insieme all’impronta ma rimane attaccato all’impianto stesso. Una volta rimossa l’impronta dal cavo orale, si svita il transfer che ha la vite corta (rispetto al transfer per impronta pick-up) e lo si congiunge all’analogo da laboratorio. Il tutto viene quindi riposizionato nell’elastomero. Qui la capacità di riposizionare il transfer all’interno dell’impronta dipende da quanto il materiale è riuscito a riprodurre finemente il corpo del transfer.


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Caricamento di una cartuccia di Hydrorise Implant Light

Lo svantaggio dell’impronta a strappo rimane la difficoltà di riposizionamento del pezzo metallico all’interno della massa d’impronta in elastomero che può non essere corretto, senza peraltro che l’operatore se ne accorga. Per migliorare questo aspetto, le case produttrici di impianti hanno escogitato diverse soluzioni. Alcune hanno cercato di modificare la forma del transfer stesso, altre hanno introdotto cappette di plastica o metallo inseribili sul transfer e rimovibili con l’impronta stessa al fine di agevolare il riposizionamento del transfer nell’impronta a fine procedura.

Anche in questi casi il light è fondamentale per trattenere saldamente nell’impronta la componentistica aggiuntiva del transfer e per resistere successivamente al riposizionamento dello stesso con l’analogo già avvitato nell’impronta.

L’ottima capacità di scorrimento del light su superfici umide, identificata dal basso angolo di contatto, può tornare utile anche per altri scopi. Ad esempio, nel caso in cui si debba associare in un’unica impronta la realizzazione di una protesi fissa su denti naturali ad un’altra su impianti, l’utilizzo del light può garantire quella fine riproduzione dei dettagli necessaria sia per rilevare correttamente le preparazioni dentali e le relative linee di finitura, sia per inglobare, come già detto, totalmente la superficie del transfer.

Altro fattore importante, sempre dipendente dalla fluidità del materiale usato e dall’angolo di contatto, è la rilevazione del tragitto mucoso perimplantare. Una corretta impronta su impianti deve riprodurre correttamente i tessuti molli adiacenti all’impianto, senza stirarli o comprimerli.

In questo senso, il light è forse l’unica consistenza di materiale elastomerico che consente una corretta riproduzione di questa zona senza rischiare di comprimerla eccessivamente. Questo aspetto risulta importante anche e soprattutto per il tecnico che dovrà realizzare un corretto profilo di emergenza in linea con i tessuti molli adiacenti al fine di preservarne la salute e consentire un corretto mantenimento igienico della zona.

Altri fattori influenzanti impronte su impianti 

Anche se l’utilizzo del light per i materali elastomerici può risultare utile in protesi implantare, il successo di un’impronta su impianti non dipende solo ed esclusivamente da questo.

La capacità del transfer di rimanere intrappolato all’interno dell’impronta (a portaimpronta aperto) ad esempio non dipende solo ed esclusivamente dal tipo di materiale usato ma anche dalla ritentività del corpo del transfer stesso. È auspicabile che il transfer abbia un corpo ritentivo, provvisto di zone in sottosquadro o ritenzione tali da ridurne il rischio di mobilizzazione all’interno del materiale da impronta, aumentando al contempo la superficie di contatto.

Spesso risulta importante anche lo splintaggio rigido dei transfer tra loro prima della fase d’impronta al fine di stabilizzarne la posizione ed evitarne i possibili movimenti durante le fasi di avvitamento degli analoghi da laboratorio e di sviluppo del modello in gesso.

Si può quindi concludere che l’utilizzo del light in protesi implantare può fornire alcuni vantaggi clinici. Tuttavia, esso va considerato all’interno di una corretta tecnica d’impronta specifica a seconda del quadro clinico. 


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